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VEDERE OLTRE MICHELE MATTIELLO
13 Giugno, 2016
L’esperienza della parola-elemento caratterizzante la condizione umana è giunta ben presto ad usura. La crisi del contemporaneo esprime proprio l’incapacità e/o l’impossibilità delle parole di comunicare la verità del Tempo, e il significato profondo della Fine.
L’opera fotografica di Michele Mattiello utilizza il dato visivo in modo nevralgico, per dirigere lo sguardo su queste categorie interpretative della realtà: il fluire della vita, i suoi drammi, la relatività del Tempo, l’ineludibile certezza della morte. Il volto, in particolare, osservato in una luce buia che accende i tratti senza definirli mai del tutto, trasforma lo spazio intorno nel nero enigmatico dell’esistenza. Essa rappresenta la materia prima della sua ricerca. Se come dice Armando González Torres -Ogni viso è un abisso, e se lo guardi fissamente, proverai vertigine-, la poetica di Michele Mattiello non potrà che coinvolgere il lettore più attento. Il nostro sguardo diventa il luogo del divenire, che chiede di essere riconosciuto e letto nella sua originaria e originale manifestazione. I trittici aprono al confronto tra generazioni, sottolineando il permanere di certi tratti somatici. Contemporaneamente affiora il valore dell’identità soggettiva e dell’appartenenza alla dimensione familiare, che si ripete ancora e ancora, guidata da una sorta di nostalgia dell’identico. L’Urlo si rifa’ ad un bisogno violento che si esprime attraverso gesti vibranti e instabili di liberazione. Nel privato dell’uomo il non detto si impone, si eleva dalle viscere, si presenta innanzi nel corpo nudo. L’io si rigenera con un viaggio a ritroso verso l’origine, per esprimere il disaggregarsi della barriera dell’indicibile. La morte ritratta non ha compito, non è Memento mori o espressione della Vanitas ma puro dato di fatto, destinazione e riflessione estetica. Niente altro, niente l’Oltre.
Alessandra Santin