Non ci sono dubbi sul fatto che Leonardo Di Caprio sia uno degli attori più talentuosi della sua generazione, ma definire la sua interpretazione in The Revenant da Oscar, è un’altra cosa.
Diciamo che se gli venisse assegnata la famosa statuetta in oro zecchino per The Revenant, direi che se l’è sudata per tutte le altre grandi interpretazioni. Io l’ho trovato particolarmente brillante in The Wolf of Wall Street, dove nel ruolo di Jordan Belfort, ci ha divertito nel caricaturizzare il personaggio affidatogli da Scorsese.
In The Revenant Di Caprio è bravo nel rendere palpabile (forse anche troppo) la sofferenza a cui è sottoposto Hugh Glass, un cacciatore di pelli dell’Ottocento che viene abbandonato dai suoi stessi compagni di spedizione e riuscirà a sopravvivere nelle sconfinate foreste del Missouri.
E di foreste, acqua e nevicate ne vedremo parecchie in questa pellicola di Alejandro González Iñárritu. Sebbene The Revenant non sia un genere di film mainstream, sin dalla prima inquadratura ho avuto la sensazione che fosse un film di cui ci si ricorderà, un po’ come era successo decenni fa a Balla coi Lupi. La regia del messicano va tuttavia ben oltre la mia citazione ed è il motivo principale per cui The Revenant va visto. Di Caprio ha raccontato che sul set faceva così freddo che ci sono stati momenti in cui le cineprese non funzionavano. A me, viene da dire che se fosse merito del luogo così impervio un tale capolavoro di regia, varrebbe la pena che gli altri registi ci provino.
Anche Emmanuel Lubezki va menzionato, perché la sua fotografia in The Revenant ci restituisce una natura a cui non siamo più abituati.
Nel cast assieme a Leonardo Di Caprio brilla pure Tom Hardy, l’attore britannico che Nicholas Windin Refn aveva voluto nella parte del muscoloso Bronson e nel recente Mad Max – Fury road. Hardy è bravo, lo è da sempre ed è un piacere rivederlo nella parte di un vero “cattivo”.
Tuttavia, mi viene pure da pensare che, in quelle condizioni, portare a casa la pelle (sia in un senso, che nell’altro) significava anche venire meno della propria umanità.
Chiara Orlando