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LA FORMA DELLA LUCE
15 Marzo, 2021 - 14 Aprile, 2021
Stefano Jus
LA FORMA DELLA LUCE.
Tra le suggestioni di Nicola Grassi.
“In verità, non esistono né segreti, né misteri: tutto è magia nell’ombra. Junichiro Tanizaki
Il fondo nero e compatto delle opere di Stefano Jus ha, come l’ombra, un silenzio tutto suo e una capacità di stratificarsi più come materia che come luogo.Il nero denso e vellutato, steso con gesti larghi e decisi, ha la bellezza oscura del mistero, della Storia ancora enigmatica in cui c’è perdizione, ricerca e al contempo verità. I monocromi oscuri di Stefano Jus realizzati per questa mostra dal titolo emblematico “La forma della luce”, interpellano la magia e le suggestioni prodotte dalla luce radente, che è una delle cifre sostanziali del linguaggio visivo di Nicola Grassi. Posta al di fuori e di lato all’opera, questa luce crea contrasti molto netti, spazi indefiniti a “luce nera” (già realizzati da Fontana negli anni cinquanta del Novecento, il secolo breve e buio) in cui fluttuano figure interattive, luminescenti e in dialogo costante. Più che i contenuti, le tecniche e la tavolozza, è il processo di ricerca del Grassi ad interessare Stefano Jus. Le linee portanti di ogni singola opera negano profondità ambientali, lo spazio sembra comprimersi o dilatarsi intorno ai personaggi ritratti, e alle relazioni che tra loro intercorrono e si moltiplicano, interpellando l’osservatore, facendogli perdere il senso delle dimensioni e dell’orientamento. Come affiorassero dal liquido più inteso i volti quasi scolpiti e i profili delle braccia e dei corpi coinvolgono e ribaltano i punti di vista: l’ombra non è più la conseguenza della luce ma è invece il suo scopo primario. La luce, infatti, manipolata sapientemente da Stefano Jus, forma corpi-ombra consistenti, composti da masse materiche pesanti e pulsanti. Quest’uso del corpo-ombra come “presenza di un’assenza”, è una suggestione ampiamente utilizzata dal linguaggio poetico-visivo, lungo l’intero corso della Storia dell’arte (e non solo nel lavoro di Nicola Grassi). Gli artisti, infatti, hanno sempre dimostrato di voler sfruttare la luce per ottenere valori tonali ed atmosfere, qualità delle superfici e forma consistente dei corpi. Ne “La Rebecca al Pozzo” la luce guidata da Stefano Jus entra nel dipinto e taglia diagonalmente tutta l’immagine, sfiorando dapprima il volto e le mani protagoniste, per poi illuminare le figure intorno. Questa stessa la luce è stata per Nicola Grassi l’elemento trasfigurante, capace di attenuare il realismo accademico. Stefano Jus ne coglie l’elemento simbolico e vitale: concettualmente la luce diviene ben presto la chiave della sua maggiore espressione pittorica, capace di saturare gli spazi con figure inquiete, che non vogliono stare nei quadri, che debordano, che sconfinano, che sembrano emanare esse stesse la luce assumendo, già si diceva, un carattere di trasfigurata materialità. Acrilici, terre su intonaci, acquerelli e litografie testimoniano la necessità di Stefano Jus di misurarsi con tecniche, materiali, dimensioni sempre differenti, per esprimere non solo i contenuti quanto, piuttosto, i processi di ricerca che necessitano di prove, bozzetti, opere compiute e opere incompiute, testimonianze di una ricerca mai pienamente conclusa, mai compiutamente appagata. Su di essa termina il nostro sguardo che si arrende alla drammaticità abbagliante della vita di relazione, resa mediante composizioni mutuate dal linguaggio cinematografico. Spesso in queste opere affiora il gioco sapiente degli opposti: la bellezza innocente della giovinezza contro la decadenza austera della vecchiaia; l’assorta solitudine colta nell’intensa immobilità del volto contro il dinamismo esasperato dei corpi in lotta; la linearità delle scritture corporee nei “Condomini” contro la caotica gestualità delle folle, ritratte nel dinamismo dell’evento storico (in Canoni Settecenteschi, solo per dare un esempio). La seduzione dei monocromi bui è funzionale ai temi caratteristici della cultura contemporanea, nella quale ritorna incessante l’inquietudine delle crisi, la violenza di genere, la dolcezza intatta delle maternità sempre più rare, il discredito della vecchiaia, il timore del vuoto, l’intimità violata dell’amore: ovunque si contrae la vita e si crea un cortocircuito che si rivela nell’abbondanza del materiale iconografico realizzato da Stefano Jus, instabile e insieme definitivo, contemporaneo e insieme antico. La ricerca dell’artista si muove sempre tra le suggestioni del passato e le illuminazioni del presente, nella complessità dei corpi e delle figure umane che si rivelano nel buio dell’oggi, come costruzioni architettoniche evidenti e come illusioni manifeste, solo per poco nella suggestione dell’istante.
Alessandra Santin